Una tradizione assai diffusa nell'Italia medievale e rinascimentale – da Roma a Firenze, da Brescia a Palermo – era la cosiddetta corsa delle meretrici: una gara atipica, organizzata in occasione di feste religiose e fiere cittadine, che vedeva protagoniste le bagasce, ossia le prostitute della città, e che richiamava ovunque grande affluenza di pubblico.
Malgrado il carattere degradante dell'evento, spesso imposto, le prostitute vi prendevano parte perché allettate dalla natura dei premi in palio – quasi sempre stoffe preziose per le prime classificate, galli o trecce d'aglio per le ultime – che rappresentavano un'importante opportunità di riscatto per le corritrici, provenienti da contesti estremamente poveri e disagiati. Attraverso i preziosi premi, infatti, le meretrici – costrette per legge ad indossare specifici indumenti (veli o nastri di stoffa gialla o rossa) atti ad identificarle in modo inequivocabile, pena punizioni corporali come la fustigazione pubblica in giro per la città – avevano l'opportunità, almeno per una volta, di abbigliarsi (1) come le donne rispettabili e di integrarsi, seppure marginalmente, all'interno della comunità.
LA CORSA DELLE BAGASCE A PALERMO
Nel Diario di Paruta e Palmerino si legge:
«Domenica, 2 febbraio 1578. Si corsiro li palii della città per la strada del Cassaro, e foro bellissimi palii. E pigliavano ancora un altro palio li secundi; ma li palii di li secundi volse l'eccellenza del signor Marco Antonio Colonna vicerè, che si corressero il giorno di Sant'Agata. E anco corsiriro li bagasci; e il premio fu una faldetta (gonna) con lo busto di raso arancino».
Nel capoluogo siciliano, la gara – ideata dal viceré spagnolo Marcantonio Colonna – era inserita all'interno del cosiddetto Palio di Santa Maria Magdalena, suddiviso in quattro fasi: la corsa dei ragazzini, dei giovani, degli uomini adulti ed, infine, la più attesa, quella delle bagasce.
A ricostruirne le tappe è Luigi Natoli che, in Storie e leggende di Sicilia, scrive:
«Le corritrici erano sei, si schierarono sulla medesima linea, l'una accanto all'altra. Erano in veste lunga; ma perché le gambe avessero maggior libertà, il signor Marcantonio aveva permesso che si vestissero alla ninfale, con vesti larghe, cioè aperte fino al ginocchio, e senza mani-che, nessuna sottana, le gambe coperte di calze lunghissime, e i piedi calzati con nastri». «Sparò il terzo colpo. Le sei donne si rizzarono sulle punte dei piedi, coi pugni serrati, […] stimolate dal desiderio della vittoria. [...] Le vesti aderivano loro sul grembo, sulle cosce, svolazzando sopra le spalle, sbatacchiate fra i polpacci e i piedi. Correvano col volto acceso, senza veder nulla; [...] gli schiamazzi della folla le assordavano [...] chi le incitava, chi lanciava dietro a loro un'insolenza, una parola ambigua, una parola indecente; alcuni con lo scudiscio, [...] con un bastone, le aizzavano come si farebbe con le bestie».
Secondo quanto riportato dai cronisti dell'epoca, la vincitrice dell'edizione fu Clara Stella, che riuscì ad aggiudicarsi un bel vestito col busto di raso rosso.
Se ti abbiamo incuriosito, ti aspettiamo alla prossima passeggiata raccontata, dal titolo Palermo a luci rosse, dove racconteremo storie di meretrici, lenoni e antiche case chiuse.
(1) L'abbigliamento, da sempre segno distintivo di un dato status sociale, in tale contesto fungeva da importante strumento di riscatto sociale.
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