Venerdì 13: l’alba della cattura dei Templari
- Tacus Associazione
- 13 ott
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All’alba del 13 ottobre 1307, il regno di Francia si sveglia al suono di passi rumorosi: sono i funzionari regi — bailli e siniscalchi — che rompono i sigilli a lettere identiche, recando ordini del re. Le missive, siglate da Filippo IV “il Bello”, intimano un’azione senza precedenti per ampiezza e simultaneità: arrestare tutti i fratres dell’Ordine del Tempio, ovunque si trovino, sequestrare registri e beni, sigillare cappelle e tesori. Nelle commanderie, dai sobborghi di Parigi alle pianure della Champagne, dagli approdi della Normandia ai valichi della Linguadoca, i Cavalieri Templari, sono colti nella tranquillità della loro routine monastica e militare. Ignari dell’ordigno preparato contro di loro, vengono prelevati in poche ore.
Un terremoto giuridico e politico
È una delle più vaste operazioni d’arresto della storia medievale, dirompente sul piano giuridico perché compiuta per via regia in materia — l’eresia — che rientrerebbe per diritto nella giurisdizione della Chiesa; e dirompente sul piano politico, perché colpisce un’istituzione internazionale, esente da molte autorità locali per privilegio papale, e strettamente intrecciata con le finanze del regno.
Le accuse sono gravissime e infamanti: eresia, idolatria, bestemmia; riti d’iniziazione «osceni» che prevedrebbero lo sputo sulla croce; sodomia sistematica; pratiche amministrative illecite.
Da quel mattino si avvia una vicenda giudiziaria torbida e pluriennale, fatta di confessioni estorte con la tortura, di contraddizioni, di pressioni diplomatiche e di incertezze pontificie, che condurrà prima alla soppressione dell’Ordine per atto del papa e, infine, al rogo del Gran Maestro Jacques de Molay a Parigi, nel marzo del 1314.
La domanda storiografica sulla tragica e controversa fine dei soldati di Cristo, è, al tempo stesso, semplice da formulare e complessa da sciogliere: siamo di fronte a un'operazione di “polizia religiosa” chiamata a reprimere una degenerazione dottrinale e morale dell’Ordine, oppure ad una manovra orchestrata ad arte da Filippo il Bello per impadronirsi di risorse e di leve di tesoreria di cui il sovrano — fortemente indebitato — aveva urgente bisogno?
Le migliori ricerche concordano su un dato: non esistono prove solide di un’eresia templare strutturale e consapevole; esistono invece confessioni contraddittorie, spesso ritrattate in assenza di tortura, e un contesto di durissima conflittualità fra la monarchia capetingia e l'autorità ecclesiastica, nel quale l’Ordine — ricco, esentato e capillarmente diffuso — diventa suo malgrado un bersaglio ideale. Come spesso accade nella storia, la risposta più convincente intreccia i due piani: l’accusa religiosa che diventa lo strumento per risolvere una questione eminentemente politica e finanziaria.
Il caso Templari
Nato a Gerusalemme intorno al 1119–1120 per iniziativa di Hugues de Payns e di pochi compagni, l’Ordine dei Poveri Cavalieri di Cristo e del Tempio di Salomone riceve un riconoscimento formale al concilio di Troyes (1129) e, poco dopo, privilegi straordinari dal pontefice (bolla Omne Datum Optimum, 1139): esenzione dall’autorità episcopale locale, diritto di avere propri cappellani, libertà di raccolta di fondi. Sotto la protezione ideologica di Bernardo di Chiaravalle — De laude novae militiae — i Templari incarnano l’inedito paradigma del monaco-guerriero: regola austera, pratica liturgica regolare, ma anche addestramento militare e funzione di scorta ai pellegrini e di presidio ai castelli degli Stati crociati.
La vera forza dell’Ordine non risiede, tuttavia, soltanto nei bastioni d’Oriente. In Occidente i Templari sviluppano una rete amministrativa modernissima: commanderie rurali e urbane, magazzini, fattorie, case del Tempio, una contabilità scrupolosa. Accumulano terre, rendite, diritti signorili; soprattutto, sperimentano strumenti finanziari anticipatori: depositi, trasferimenti di fondi, lettere di cambio ante litteram. La loro casa parigina, il «Tempio», diviene snodo di primaria importanza; parte delle finanze pubbliche transita per i loro scrigni, e il re stesso — come altri principi europei — fa ricorso ai servizi templari. Ricchezza, immunità e capacità di movimento internazionale sono, insieme, la loro forza e la loro futura vulnerabilità.
La caduta di Acri (1291) segna la fine degli Stati crociati in Terra Santa e priva Templari e Ospitalieri della loro ragion d’essere primaria. L’Ordine si ridispone a Cipro, coltiva progetti di crociata di ritorno, negozia con papi e sovrani risorse e strategie. Intanto crescono critiche e proposte di riforma, compresa l’ipotesi — sostenuta da alcuni riformatori e giuristi, e discussa da Clemente V — di una fusione tra Templari e Ospitalieri per razionalizzare risorse e comando. Nel 1307 il Gran Maestro Jacques de Molay si trova in Francia proprio per questi colloqui e per la preparazione di una nuova spedizione. La sua presenza a Parigi, paradossalmente, renderà più agevole il colpo di mano regio.
Il regno di Filippo IV (1285–1314) è segnato da guerre costose (contro l’Inghilterra e nelle Fiandre), da riforme fiscali aggressive e da crisi monetarie. Il sovrano ha già sperimentato la via degli espropri: l’espulsione degli ebrei dal regno nel 1306 con confisca dei beni, la pressione sui «Lombardi». Il conflitto con il papato — dall’affare Bonifacio VIII allo “schiaffo di Anagni” (1303) — ha rafforzato nel re la tentazione di piegare il foro spirituale alle esigenze della corona. Attorno a lui agisce un’équipe di giuristi e consiglieri abili — da Guillaume de Nogaret a Enguerrand de Marigny — capaci di costruire narrazioni giuridiche e politiche persuasive. In questo quadro, un Ordine ricco, centralizzato, esente e creditore della monarchia appare, allo stesso tempo, una minaccia e un’occasione.
L’arresto simultaneo in Francia produce immediatamente l’effetto voluto: shock dell’opinione pubblica, controllo dei beni, isolamento dei vertici. Le prime confessioni, raccolte da funzionari regi e poi dall’Inquisizione, sono segnate dall’uso sistematico della tortura e da formulari che inducono risposte stereotipate: il rinnegamento rituale della croce all’ingresso nell’Ordine, baci osceni, la venerazione di un’oscura testa — il «Bafometto» —, pratiche carnali fra fratelli come test di obbedienza. Quando più tardi, davanti alle commissioni pontificie, i frati parlano senza coercizione, molte di queste confessioni vengono ritrattate o ridimensionate.
Papa Clemente V, inizialmente sorpreso e contrariato dall’iniziativa unilaterale del re, finisce con l’assecondarla: con la bolla Pastoralis praeeminentiae (1307) ordina anche agli altri sovrani l’arresto dei Templari e il sequestro dei beni, trasferendo di fatto la questione su scala europea.
Fra il 1308 e il 1311 si succedono indagini diocesane e commissioni pontificie. Se in alcune aree della cristianità i Templari risultano in gran parte assolti o comunque non colpevoli di eresia formale, in Francia, dove il controllo regio è massimo e l’opinione è stata preparata da un dossier capillare, la macchina punitiva non si ferma. Nel 1310 a Parigi decine di frati che hanno osato ritrattare le prime confessioni vengono arsi come «relapsi».
Il dibattito si sposta al concilio ecumenico di Vienne (1311–1312): non si riesce a dimostrare dogmaticamente l’eresia dell’Ordine nel suo complesso, ma al tempo stesso pesa la «turbatio» scandalosa, l’idea, cioè, che la fama pubblica dell’Ordine sia irrimediabilmente compromessa. Con la bolla Vox in excelso (22 marzo 1312) Clemente V sopprime, dunque, l’Ordine «non per via di condanna, ma per via di provvisione»; con Ad providam (2 maggio 1312) assegna in linea di principio i beni templari agli Ospitalieri, salvo eccezioni nazionali e compensazioni alla corona francese.
Rogo e assoluzione: il finale tra leggenda, storiografia e ragion di Stato
Il capitolo finale si consuma a Parigi nel 1314. Jacques de Molay e Geoffroy de Charnay, presentati per la sentenza definitiva, ritrattano pubblicamente le confessioni e proclamano l’innocenza dell’Ordine. La corona li dichiara relapsi e, senza ulteriori formalità, li consegna al braccio secolare: vengono arsi su un’isoletta della Senna, di fronte a Notre-Dame, nel marzo 1314. Nasce qui anche la leggenda — tardiva — della «maledizione» del Gran Maestro: suggestiva, ma priva di riscontri coevi.
La documentazione del processo, dispersa e poi in parte edita, mostra un quadro frastagliato. Vi sono confessioni che ammettono un atto simbolico di rinnegamento al momento dell’ingresso, giustificato — dicono alcuni frati — come prova d’obbedienza o precauzione nel caso di cattura; vi sono accuse di pratiche indecenti e idolatriche che oscillano fra il vago e il fantastico. La storiografia maggioritaria ritiene che non esista prova di una dottrina segreta templare antitetica alla fede, né di un culto organizzato a un idolo chiamato «Bafometto»; ritiene, invece, probabile che in alcune case vi fossero prassi d’ingresso improprie o vizi privati (fenomeni non ignoti ad altri corpi del tempo), divenuti, sotto pressione inquisitoriale, indizi di sistema. In parallelo, alcune irregolarità amministrative sono verosimili in un organismo vastissimo; ma la trasformazione di queste in capi d’accusa per «eresia di denaro» risponde più a un disegno politico che a un’analitica contabile.
Un documento di grande rilievo, il cosiddetto «Pergameno di Chinon», testimonia che nel 1308 Clemente V, tramite i suoi legati, concesse l’assoluzione sacramentale ai vertici templari per i peccati confessati, in vista di una penitenza e di riforme: un indizio forte che il papato propendesse per il recupero dell’Ordine, più che per la sua estinzione. Sarà poi la pressione politica, la ragion di Stato e la “fama” a imporre la soppressione come soluzione d’ordine pubblico ecclesiale.
La lettura che oggi appare più robusta collega l’azione del 1307 a tre fattori concatenati. Primo: l’urgenza fiscale della corona, indebitata e in conflitto, che aveva già mostrato di saper usare strumenti extra-ordinem per rifinanziarsi. Secondo: l’ambizione giurisdizionale dei re capetingi di portare sotto il controllo della sovranità temporale corpi privilegiati e “stranieri” nella loro stessa patria. Terzo: la dimensione comunicativa — diremmo oggi “propagandistica” — di un potere che trasforma il sospetto in certezza sociale tramite confessioni estorte, sermoni, pubbliche esecuzioni. La religione, in questo quadro, diventa linguaggio legittimante più che causa; l’eresia, un dispositivo accusatorio che consente di colpire un avversario strutturato e “liquido” come un’istituzione internazionale. Non che tutto fosse irreprensibile nella vita del Tempio; ma il salto di qualità fra peccato e delictum haeresis è politico.
Dopo il 1312 i beni templari, almeno sulla carta, passano agli Ospitalieri. In realtà, molto resta nelle mani dei sovrani che amministrano il trasferimento con ampia discrezionalità. L’Europa iberica offre soluzioni “creative”: in Portogallo, sotto Dionigi, gli ex templari confluiscono nell’Ordine di Cristo (1319), salvando competenze e parte del patrimonio; nella Corona d’Aragona nasce l’Ordine di Montesa (1317). L’Europa centro-orientale redistribuisce case e terre ad altri ordini o alla nobiltà. Il nome «Templari» scompare dal diritto, ma non dall’immaginario: un vuoto simbolico così grande non tarda a riempirsi di miti, leggende, romanzi, che spesso confondono il mito con la verità dei fatti.
L’operazione del 13 ottobre 1307 è dunque un caso di scuola su come un potere centrale possa usare l’accusa religiosa per un obiettivo politico-finanziario, piegando procedure e giurisdizioni alla ragion di Stato. L’Ordine del Tempio, nato come avanguardia della cristianità armata e divenuto rete economico-finanziaria d’Europa, fu spazzato via non per una dottrina alternativa, ma per l’impossibilità — in quel momento storico — di convivere con una ricchezza esente e una sovranità transnazionale. Se il venerdì 13 porta sfortuna, è superstizione moderna; quel venerdì 13, invece, portò fortuna a un solo attore: la monarchia francese, che seppe convertire sospetto in rendita politica.

Crediti
Testo: TACUS Arte Integrazione Cultura - Associazione di promozione sociale
Immagini: Getty Images



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