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Il sergente e il tenore: quando Joe Petrosino salvò Enrico Caruso

  • Immagine del redattore: Tacus Associazione
    Tacus Associazione
  • 25 ago
  • Tempo di lettura: 3 min

Aggiornamento: 26 ago

Nel primo decennio del Novecento, New York è un crogiolo di contraddizioni: da un lato il fermento culturale e artistico, che fa della metropoli una capitale mondiale dello spettacolo; dall'altro si staglia l'ombra minacciosa della Mano Nera, organizzazione criminale che si insinua nelle pieghe più profonde del tessuto sociale e urbano, tessendo una rete estorsiva che colpisce le piccole comunità. In questo scenario si intrecciano i destini di due italiani, i cui nomi continuano a rappresentare un motivo di orgoglio per il nostro Paese: Giuseppe "Joe" Petrosino ed Enrico Caruso.

Caruso approda negli Stati Uniti nel 1903 e il 23 novembre di quell'anno si esibisce al Metropolitan Opera House di New York con Rigoletto. L'entusiasmo travolgente con cui è accolta la performance, soprattutto dalla folta comunità italiana - emigrata in America tra il 1876 e il 1900 - gli garantirà un fitto calendario di repliche.

Tra il pubblico, quella prima sera, c'è anche un poliziotto: un uomo di bassa statura, robusto, con un petto prominente, che, terminato il suo turno, si dirige con entusiasmo verso lo spettacolo.

Quando al termine dello spettacolo Caruso, avvolto dal clamore della folla, raggiunge la sua automobile pronta alla partenza, l’occhio esperto del poliziotto nota un dettaglio anomalo: il cofano sembra essere stato manomesso. Questi, già addestrato come artificiere, si fa largo tra la calca e, con prontezza, ferma l'autista che sta per avviare il motore. Identificandosi come agente, apre il cofano e scopre una bomba pronta a esplodere non appena il veicolo fosse stato messo in moto. Spaventato, confuso e al tempo stesso sollevato per lo scampato pericolo, Caruso vuole conoscere il nome del suo salvatore. È Joe Petrosino, sergente dell’NYPD, nome noto all’interno del dipartimento per le eccellenti doti investigative e già ammirato da Theodore Roosevelt, futuro presidente degli Stati Uniti, che di lui dirà: «Petrosino è nato poliziotto e non sa cosa sia la paura».

Tra il sergente e il tenore - entrambi campani, emigrati e simboli della tenacia italiana oltreoceano - si crea un legame quasi di fratellanza. In segno di gratitudine, Caruso invia un disco d’oro che il poliziotto, grande appassionato di musica, apprezza molto.

La disavventura non segna, però, la fine delle insidie. Poche settimane dopo, Caruso riceve due lettere minatorie: la prima chiede duemila dollari, la seconda quindicimila. Il mittente è Ignazio Lupo, uno dei più temuti boss mafiosi di New York. Il messaggio è inequivocabile: pagare o morire. Caruso, disperato, si rivolge nuovamente a Petrosino, che utilizzando il tenore come esca, avvia le indagini che porteranno agli arresti clamorosi di Lupo e di Giuseppe Morello, altra figura vertice della mafia newyorchese, responsabile come Lupo di estorsioni, traffici illeciti e omicidi.


Il detective Joe Petrosino e il tenore Enrico Caurso

Il legame tra Caruso e gli ambienti criminali non si esaurisce, tuttavia, con quell’episodio. Negli anni successivi, il tenore intrattiene rapporti con Giacomo “Big Jim” Colosimo, boss di Chicago che, attraverso gli introiti derivanti dalle attività criminali, finanzia tournée e promuove l’arrivo negli Stati Uniti di artisti italiani. Colosimo, mecenate ambiguo, sfrutta infatti la popolarità degli spettacoli per consolidare la propria influenza presso le comunità italoamericane, rendendo figure come Caruso parte, seppur indirettamente, di una rete di influenza sociale e culturale plasmata dalla criminalità organizzata.


Petrosino, con la sua intelligenza investigativa e la conoscenza diretta del mondo da cui provengono i malviventi, riesce a rintracciare e, in alcuni casi, a spezzare la rete attraverso cui esponenti delle organizzazioni criminali come Lupo, Morello e Colosimo, forti dei legami con la Mafia siciliana, controllano il territorio, grazie a un’intensa attività di spionaggio e schedatura dei malviventi.

Sull'obiettivo di scardinare tali rapporti si concentrerà tutta la sua attività investigativa, che lo porterà, pochi anni dopo, in quel di Palermo.


Se Caruso poté continuare a esibirsi e a incantare il mondo con la sua voce, lo si deve anche a un poliziotto che unì dedizione, coraggio e un intuito straordinario. Quella sera al Metropolitan, infatti, la storia della musica e quella della lotta alla mafia si intrecciarono in un modo unico, regalandoci una delle pagine più affascinanti della New York del primo Novecento.



Se vuoi approfondire la tematica, non perdere l'appuntamento con Il detective Joe Petrosino: un racconto itinerante sulla vita, la carriera e l'eredità culturale e morale del superpoliziotto, pioniere della lotta alla criminalità organizzata.


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