Palazzo Chiaramonte-Steri
- Tacus Associazione
- 14 mar 2024
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Aggiornamento: 30 set
Palazzo Chiaramonte, comunemente noto come Steri — dal latino medievale hosterium o hosterium magnum, vocabolo che indicava il “palazzo signorile” o la “grande casa fortificata” — costituisce una delle più rilevanti testimonianze architettoniche medievali del capoluogo siciliano.
Eretto come residenza di una delle famiglie feudali di origine normanna più potenti, lo Steri è divenuto nel corso dei secoli simbolo della stratificazione storico culturale e delle trasformazioni di funzione e di significato: da sontuosa dimora aristocratica a sede dei viceré aragonesi, da tribunale dell’Inquisizione spagnola a polo culturale e universitario, ma anche riflesso delle tensioni politico sociali dell'isola, dal Trecento all’età contemporanea.
Origini e committenza chiaramontana
Edificato intorno al 1307 per volontà di Manfredi III Chiaramonte, conte di Modica, e successivamente completato dal figlio Giovanni, l'imponente complesso architettonico si sviluppa su una pianta quadrangolare e tre elevazioni, delle quali l’ultima rimase incompiuta.
Lo Steri, attraverso un chiaro messaggio simbolico, si presentava alla città come un palazzo fortificato — tipologia architettonica, diffusa tra XIII e XIV secolo in Sicilia e nell’Italia meridionale — per rispondere a plurimi intenti: garantire le funzioni difensive; esibire il prestigio politico della casata mediante una dimora vista dall'esterno come fortezza civile, capace di rivaleggiare con le residenze regie; e affermarsi come punto di riferimento politico nel contesto del Mediterraneo, dimostrando di poter competere con la monarchia aragonese nel controllo del Regno di Sicilia.
Esempi analoghi si ritrovano nel Castello Ursino di Catania, voluto da Federico II di Svevia, nella metà XIII secolo; nel Castello Maniace di Siracusa, altra residenza fortificata federiciana, che univa funzione militare e rappresentativa; e nella Llotja de la Seda di Valencia (fine XIV secolo), che traduceva in chiave architettonica l’orgoglio mercantile e aristocratico.
La parabola dei Chiaramonte conobbe l'epilogo nel 1392, quando Andrea, ultimo discendente, accusato di ribellione contro l’autorità aragonese — che proprio in quegli anni consolidava il proprio dominio sulla Sicilia — venne giustiziato per ordine di re Martino I d’Aragona. Alla condanna seguì la confisca dei beni e la trasformazione del palazzo in sede regia, segnando così la definitiva estinzione della dinastia.

Architettura gotico-mediterranea e apparato decorativo
Lo Steri costituisce una delle espressioni più compiute del cosiddetto gotico chiaramontano, declinazione siciliana del gotico mediterraneo che, tra XIV e XV secolo, trovò terreno fertile grazie al ruolo egemonico delle grandi famiglie feudali. Non si tratta di un linguaggio codificato in termini stilistici, bensì di una sintesi architettonica originale, capace di innestare matrici differenti in un unicum coerente.
Nell’impianto si leggono chiaramente le suggestioni del gotico catalano, introdotte dai contatti con la Corona d’Aragona; le permanenze della tradizione costruttiva normanna, ancora ben radicate nell’isola; e le tracce delle culture araba e bizantina, rintracciabili nella sensibilità decorativa e nella concezione stessa dello spazio.
Dal punto di vista compositivo, i caratteri identitari dell’edificio si esprimono negli alti muri perimetrali e nelle torri angolari, concepiti come veri e propri dispositivi difensivi, quasi del tutto privi di aperture al livello basamentale. Le facciate si distinguono per la loro calibrata sobrietà: il decoro non è affidato a un sovraccarico ornamentale, ma piuttosto alle aperture puntuali — bifore e trifore — articolate da colonnine snelle, capitelli scolpiti e giochi bicromi di materia litica. La sequenza merlata a coda di rondine, che corona il volume compatto, esprime con chiarezza la doppia valenza dell’opera, insieme militare e residenziale. Al cuore del complesso si colloca infine il cortile porticato, spazio generatore della vita comunitaria e della rappresentanza, fulcro distributivo e simbolico dell’intero organismo architettonico.
La Sala Magna e il soffitto ligneo
Il cuore decorativo del palazzo è la Sala Magna, un'ampia aula di rappresentanza dotata di un soffitto ligneo dipinto, che costituisce uno dei più straordinari complessi figurativi del Trecento siciliano. Realizzato tra il 1377 e il 1380 da tre maestri — Cecco di Naro, Simone da Corleone e Darenu da Palermo — presenta un complesso ciclo iconografico, articolato lungo travi e lacunari, in grado di configurare lo Steri come un vero “teatro figurativo”.
Accanto a iscrizioni — date di inizio e fine dei lavori, nomi dei pittori coinvolti, dediche e didascalie narrative — e stemmi araldici compaiono scene di vita aristocratica, quali battute di caccia, duelli e rappresentazioni d’amor cortese; episodi tratti da narrazioni leggendarie o dalla letteratura cavalleresca francese; storie bibliche; epiche classiche; allegorie — si vedano la dama a cavallo che regge una farfalla, simbolo della passione erotica, o la dama che percuote un falcone bianco, emblema, nel codice cavalleresco, dell’amante o del corteggiamento, insieme a due cani simbolo di fedeltà — figure mitologiche e animali fantastici.
I motivi raffigurati, oltre a testimoniare la ricchezza e la varietà tematica, rivelano una committenza pienamente partecipe dei modelli culturali transalpini e desiderosa di inscrivere la propria immagine dinastica all’interno di un orizzonte cortese e internazionale.
Grande spazio è riservato agli stemmi e ai motti. L’emblema dei Chiaramonte, con le barre rosse e bianche, compare ripetutamente, insieme al celebre motto cavalleresco “Grant Mersi”, dipinto in un cartiglio rosso cremisi posto su una delle travi (XXII B). La formula di origine francese, che allude al ringraziamento cortese e alla magnanimità feudale, collocata a conclusione di una scena allegorica, invita alla pietà in amore e si integra perfettamente con la sequenza visiva che lo accompagna.
L’impiego di tali elementi araldici, più che una funzione ornamentale, rispondevano a finalità molteplici: assumevano un importante ruolo strutturale nell'intero discorso figurativo; costituivano strumenti di autocelebrazione dinastica, finalizzati a imprimere nell’immaginario collettivo l’autorità e la legittimità del potere chiaramontano; trasmettevano valori morali e cortesi; rafforzavano l’adesione a un’aristocrazia colta e internazionale che guardava ai modelli francesi, e infine tessevano un continuum simbolico fra immagine, parola scritta e identità nobiliare.
Oltre al soffitto della Sala Magna, lo Steri conserva o documenta altre testimonianze pittoriche e scultoree. Particolarmente significativa è la cappella interna, che custodiva una Madonna con Sant’Anna, segno della devozione privata della famiglia, e alcune pitture votive oggi frammentarie. Restano anche tracce di decorazioni scolpite nelle bifore e nei portali, con motivi vegetali e araldici. Sebbene in gran parte perdute, queste opere testimoniano un programma decorativo più ampio, che integrava spazi sacri e profani in un sistema unitario di rappresentazione.

Accanto alla Sala Magna si sviluppano altri ambienti di rilievo: la Sala dei Viceré, che ricorda la lunga stagione in cui lo Steri fu sede del potere politico isolano; la Sala delle Capriate, con la spettacolare copertura lignea a vista; la Sala delle Armi, che custodiva strumenti bellici e cimeli della funzione militare del palazzo; e la Sala delle Udienze, spazio cerimoniale dove si amministrava la giustizia regia e poi inquisitoriale.
La cappella di Sant’Antonio Abate: sacralità privata e memoria familiare
La cappella di Sant’Antonio Abate — piccolo gioiello del gotico siciliano annesso al complesso — rappresenta un complemento essenziale per la comprensione del rapporto tra architettura religiosa e committenza chiaramontana. Lo spazio sacro privato, a cui si accedeva direttamente da un corridoio del palazzo oggi non più esistente, fu costruito su una pianta semplice, caratterizzata da linee sobrie e severe. Seppure trasformato nel corso dei secoli — rifacimenti che ne compromisero l’originario apparato decorativo — dal punto di vista architettonico, presenta una severità strutturale che, unita a un’eleganza misurata, rivela uno studiato equilibrio. Di notevole interesse restano l’abside, dove si distingue la figura di Dio Padre Onnipotente — purtroppo mutilata nel volto — affiancata da due cori angelici, e frammenti di un volto di Cristo riemerso durante i restauri.
Trasformazioni, riusi, declino e restauri
Dopo la confisca ai Chiaramonte, lo Steri subì diverse trasformazioni e destinazioni d'uso, divenendo: residenza regia; sede dei viceré di Sicilia fino al 1517 — ospitando eventi politici di rilievo, come il Parlamento generale del 1535 convocato da Carlo V — dal 1601, sede del tribunale dell’Inquisizione spagnola — con trasformazione radicale dei sotterranei e delle sale in celle, archivi e stanze per le udienze —; nel XIX secolo, con la caduta dell’Inquisizione (durata fino al 1782), fu destinato a funzioni amministrative. Arrivò il periodo caratterizzato da un lungo degrado, fino al 1984 quando divenne sede del Rettorato dell’Università di Palermo.
Percepito dalla popolazione primo come simbolo di potere poi di repressione e paura, l’antica magnificenza chiaramontana vide una lunga stagione dei restauri e ripristini fra XIX e XX secolo. Le fonti archivistiche e le cronache coeve testimoniano come il palazzo, già profondamente trasformato dall’uso inquisitoriale e borbonico, fosse percepito nel primo Novecento come un simbolo identitario da restituire alla “purezza gotica” originaria.
Come sottolinea Carmen Genovese, i progetti di restauro oscillavano fra due poli opposti: da un lato l’esigenza di liberare l’edificio dalle aggiunte considerate “deturpanti” (l’orologio di facciata, il portale barocco, i balconi borbonici), dall’altro la necessità di rispettare le stratificazioni storiche come documento della memoria urbana.
Il dibattito vide schierarsi, da un lato, fautori della conservazione integrale, dall'altro, propugnatori del ripristino stilistico. In questo conflitto si giocava la stessa definizione di “autenticità” del monumento, un tema che anticipava i principi della futura Carta di Atene del 1931. Le scelte operate — la demolizione dell’orologio, il ripristino dei merli ghibellini, la ricostruzione arbitraria di bifore — segnarono in maniera irreversibile l’immagine dello Steri, che da allora appare come una sorta di “ricostruzione critica” più che come documento stratificato. Genovese osserva che la versione odierna dello Steri, percepita come “originaria”, è in realtà il frutto di un palinsesto di restauri selettivi, che hanno cancellato porzioni consistenti della sua storia materiale.
Come chiarisce Giuffrida, lo Steri, al di là della sua qualità architettonica, è stato continuamente investito di valori simbolici e politici: nel Trecento come espressione della potenza dei Chiaramonte, nel Cinquecento come sede regia, nel Seicento come luogo di repressione inquisitoriale, nel Novecento come emblema della “rinascita” culturale palermitana. Ogni epoca ha dunque “riscritto” il palazzo, selezionando cosa conservare e cosa rimuovere. Così, il restauro del primo Novecento non fu un mero intervento tecnico, ma una vera operazione ideologica: cancellare i segni dell’Inquisizione e del barocco per riproporre una visione medievale idealizzata, più funzionale a un nazionalismo che celebrava l’identità medievale siciliana.
Lo Steri come palinsesto storico-simbolico
Alla luce di queste considerazioni, Il valore dello Steri, che si offre oggi come testo critico stratificato, risiede tanto nelle pietre medievali quanto nelle tracce – e nelle assenze – prodotte da secoli di usi, trasformazioni e restauri.
La domanda fondamentale che emerge è: cosa significa restituire un monumento alla sua “forma originaria”? Lo Steri dimostra che non esiste una forma pura, ma solo un intreccio di tempi storici, dove ogni tentativo di selezione o cancellazione è già un’interpretazione, e dunque una riscrittura.
Oggi, la responsabilità della ricerca e della tutela consiste non tanto nel ripristinare un’immagine ideale, quanto nel documentare e rendere leggibili le stratificazioni, anche quelle scomode o apparentemente “brutte”.
Un monumento stratificato
Palazzo Chiaramonte-Steri, incarnando le contraddizioni della storia di Palermo, si presenta oggi come un monumento stratificato, capace di raccontare secoli di storia: l’ascesa e la caduta di una dinastia, la magnificenza artistica del gotico mediterraneo, la lunga stagione inquisitoriale, il degrado postunitario e il riscatto contemporaneo.
A questa dimensione storica si intreccia quella attuale: il complesso, restituito alla città, accoglie oggi funzioni culturali ed espositive, tra cui spicca al piano terra il celebre quadro La Vucciria di Renato Guttuso, icona della pittura contemporanea italiana e metafora potente del caos vitale che attraversa la condizione umana.
Nella tela, il mercato palermitano esplode in un vortice di colori, corpi e voci: un disordine pulsante che sfugge a ogni gerarchia ma rivela la verità della vita quotidiana, molteplice e contraddittoria. Così anche il Palazzo Chiaramonte-Steri si offre come palinsesto di epoche e poteri, di dolore e rinascite, in un dialogo intenso che mostra come né la storia né l’esistenza possano essere ridotte a un ordine lineare.
Crediti
Testo a cura di TACUS Arte Integrazione Cultura - Associazione di promozione sociale.
Immagini di Ellera
Ricerca storica e culturale condotta su fonti bibliografiche e documentarie.
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