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Colapesce: il ragazzo che regge la Sicilia

  • Immagine del redattore: Tacus Associazione
    Tacus Associazione
  • 19 giu 2024
  • Tempo di lettura: 3 min

C’è un momento, in ogni storia siciliana che affonda le radici nella leggenda, in cui il reale si frantuma come un’onda contro gli scogli. È lì, in quella crepa, che nasce la leggenda di Colapesce: né uomo né pesce, né mito né verità, ma soltanto una presenza che mescola mare e carne, respiro e abisso. Custodita da secoli nelle acque tra Messina e Catania, non è una semplice favola per bambini, bensì una narrazione archetipica, in cui Colapesce si trasforma e sorregge la nostra Isola.


L’origine del mito: un ragazzo e il mare

Nicola, detto Cola, secondo alcuni era figlio di un pescatore, secondo altri di una donna misteriosa, forse maga o sirena. Scoperta la mutazione del corpo del figlio — le dita saldate in membrane, le gambe divenute pinne — disperata lo maledisse. E lui, dicono le voci, diventò pesce.


Da quel momento Colapesce non tornò più del tutto a riva. Abitò le grotte sottomarine, conosceva i segreti delle correnti, delle conchiglie, delle ossa degli antichi naufraghi. Mezzo uomo e mezzo leggenda, è un “mutante simbolico” che incarna l’anima anfibia della Sicilia, sospesa tra acqua e terra, tra sparizione e resistenza.


Federico II e la prova del mare

Ma ogni leggenda ha bisogno di un re. E così entra in scena Federico II di Svevia, l’imperatore filosofo, l’uomo che parlava con gli astrologi e leggeva le stelle. Incuriosito dalla fama del ragazzo capace di nuotare per ore senza mai riemergere, lo mise alla prova.


Prima gettò in mare una coppa d’oro: Cola la recuperò. Poi una corona: Cola risalì con la fronte ferita. Infine, l’anello imperiale. Ma questa volta il ragazzo non tornò più a galla. Solo bolle, e silenzio. Qualcuno dice che trovò i pilastri della Sicilia, tre enormi colonne sottomarine che sorreggevano l’isola, e che una di esse stava per spezzarsi. Colapesce allora decise di restare lì, per sempre, a reggere il peso della sua terra. Sotto Capo Peloro, sotto il mito.


Colapesce, figura leggendaria siciliana metà uomo e metà pesce, raffigurato sott’acqua mentre sorregge un enorme masso, simbolo del sacrificio e della resistenza della Sicilia

Colapesce, simbolo dell’identità meridionale

Il gesto di Colapesce non è fuga né castigo, ma sacrificio consapevole. Egli non muore: si trasforma in fondazione, come Atlantide sepolta, come radice invisibile. È il simbolo del Meridione che sostiene e tace, del Sud che si fa colonna silenziosa del mondo, mentre altrove si edificano poteri, troni, imperi.


Come in altri personaggi leggendari del folklore isolano — Morgana, i Beati Paoli — si cela in lui una critica implicita alla storia ufficiale. Colapesce è l’eroe che non combatte ma sorregge, che non si impone ma si sottrae, che non brilla ma resiste.


Acqua, fuoco e scomparsa: l’archetipo del sacrificio

Il mare di Colapesce — inteso antropologicamente come simbolo di passaggio, di prova, di morte e rinascita — non è solo luogo, ma un utero oscuro che accoglie e trasforma.


Nella sua ultima immersione, scendendo in profondità e sacrificando se stesso per il bene della comunità — come i martiri, gli eroi tragici o i santi dimenticati — Colapesce dà vita a un rito di fondazione. Si fa colonna non per gloria, ma per amore, perché “se cade, cade tutto”.


Colapesce oggi: resistenza e metamorfosi

Il mito non è mai statico. Oggi Colapesce vive anche in canzoni, fumetti, pitture e installazioni urbane che rievocano il mare e i quartieri dei pescatori. È corpo collettivo che riemerge ogni volta che la Sicilia — o il Sud intero — si sente dimenticato, ma resta presente, forte, necessario.


Forse per questo, in certe notti limpide, c’è chi giura di averlo visto laggiù, tra i flussi e le correnti, con le braccia aperte a reggere la Sicilia: come una madre fragile, come un tempio antico, come una promessa mai conclusa.


L’eroe che non torna

La leggenda di Colapesce ci interroga: cosa siamo disposti a sacrificare per ciò che amiamo? E cosa scegliamo di diventare, quando tutto intorno sembra destinato a franare?


Il ragazzo che si fece pesce non è un personaggio, ma una condizione esistenziale. È la Sicilia che si immerge nel mito per restare viva; è l’anima di chi regge senza parlare, di chi sostiene senza comparire. E mentre il mondo di oggi volge lo sguardo altrove, lui è ancora lì, nel cuore del mare, a reggere tutto.



Crediti

Testo a cura di TACUS Arte Integrazione Cultura - Associazione di promozione sociale.

Immagini elaborate con intelligenza artificiale OpenAI.

Ricerca storica e culturale condotta su fonti bibliografiche e documentarie.

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