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Immagine del redattoreTacus Associazione

Tra clausura e mondanità: la vita nei conventi di Palermo ne 'I Beati Paoli'

Aggiornamento: 3 ott

La Palermo del XVIII secolo, descritta da Luigi Natoli ne I Beati Paoli (1), è una città avvolta dal mistero e da mille contraddizioni, dove luci e ombre si intrecciano dando vita ad una danza di potere, privilegi e segreti, manovrata da un'oscura e segreta setta di uomini, che tenta di rendere giustizia agli oppressi. Come scrive Umberto Eco, un intricato «dramma tra oppressi e oppressori», ricco di personaggi femminili come Donna Aloisia, l'avvelenatrice Peppa La Sarda, la giovane Violante Albamonte di Branciforti e la seducente Donna Gabriella La Grua-Albamonte, duchessa della Motta e seconda moglie di don Raimondo, ognuno con un ruolo significativo nel complesso intreccio narrativo.


Il personaggio di Gabriella – che conduceva una vita dedita al lusso e all'apparenza: «Passava la giornata abbigliandosi, andando a visitare le sue amiche, andando a passeggio e [...] non tralasciando nessuno spettacolo, nessun divertimento. [...] Una volta la settimana andava al monastero di Montevergini a visitare la figliastra [ndr. Violante], una ragazza di dieci anni [...] che non le dava nessun fastidio» (2) apre una porta sul modo di vivere dell'aristocrazia dell'epoca, capace di esercitare un ruolo determinante nella definizione dei costumi e delle pratiche sociali: si pensi, ad esempio, alla moda dei finti nei sulle spalle nude, al fenomeno del cicisbeismo e alla frequentazione dei salotti letterari o dei conventi, luoghi multifunzionali dove, alla pari di balli e piazze pubbliche, era possibile mettere in mostra il proprio prestigio, creando o rinsaldando nuovi o vecchi legami.


L'EDUCAZIONE DELLE GIOVANI ARISTOCRATICHE, TRA CONTROLLO E FORMAZIONE


Noti come luoghi di profonda spiritualità e trasformatisi nel tempo in veri e propri centri di formazione per aristocratiche, i monasteri accoglievano – già a partire dai sette anni di età – giovani educande che, oltre alla preghiera e agli ideali di nobiltà, avrebbero imparato a leggere e scrivere, a far di conto, a coltivare le arti della pittura, della musica e del canto e il ricamo, con la prospettiva di lasciare il convento solo una volta completato il percorso educativo o, su ordine dei genitori, per convolare a nozze.


L'educazione conventuale, inizialmente concepita per preparare fanciulle alla vita monastica, grazie alla rigida struttura, divenne ben presto un efficace strumento di controllo e protezione dell'onore e della purezza delle giovani aristocratiche.


Come si legge nella Regula cuiusdam patris, le educande – tenute sotto una rigida e costante sorveglianza – per evitare ogni possibile deviazione dai principi religiosi e morali, «devono essere allevate con tutto l’affetto, la bontà e la fermezza, affinché nella loro tenera età non siano macchiate dal vizio della pigrizia o della leggerezza» (3).


LA VISITA AL MONASTERO


Le visite ai monasteri erano uno degli appuntamenti fondamentali per le dame dell'alta società, che vi si recavano con tutta la pompa necessaria: «[...] in portantina dorata e dipinta, e impennacchiata, con seguito di lacchè in ricche livree, e talvolta accompagnate da qualche cavaliere» (4).


Queste non erano solo atti di cortesia familiare, ma rappresentavano un momento cruciale per fare sfoggio dello status socio-economico, favorendo la formazione di alleanze con i membri di altre famiglie nobili presenti, e controllare le condizioni delle giovani, imponendo rigide aspettative. Questi incontri costituivano per le educande l'unica occasione per familiarizzare con le dinamiche mondane che avrebbero caratterizzato la loro vita futura. Durante tali visite, infatti, le conversazioni vertevano su argomenti come i futuri matrimoni o l'eventuale obbligo – quasi mai si trattava di libera scelta – di proseguire il percorso religioso, mentre le giovani educande, mediante atteggiamenti di deferenza, sfoggiavano la formazione ricevuta. I monasteri si trasformavano così in luoghi di ambiguità, dove sacro e profano, libertà e costrizione si mescolavano, dando vita a situazioni ricche di contraddizioni.


Il romanzo di Natoli, dunque, offre uno spaccato affascinante sulla Palermo settecentesca che, oltre a mettere in luce il contrasto tra il potere dell’aristocrazia e la giustizia popolare, sottolinea la categorizzazione dei ruoli sociali declinati al femminile e la polivalenza dei luoghi come il convento dove, in un alternarsi di obblighi sociali e giochi di potere, rappresenta lo spazio in cui controllo e prestigio si intrecciano.


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(1) Romanzo d'appendice, scritto da Luigi Natoli con lo pseudonimo di William Galt, pubblicato sul Giornale di Sicilia in 239 puntate, tra il 6 maggio 1909 e il 2 gennaio 1910.

(2) Tratto da Natoli Luigi, I Beati Paoli

(3) Tratto da Zarri Gabriella, Novizie ed educande nei monasteri italiani post-tridentini

(4) Tratto da Natoli Luigi, I Beati Paoli


 
  • L'articolo è a cura della redazione di TACUS Arte Integrazione Cultura.

  • La copertina del presente articolo è stata generata mediante un programma di AI.



Un collage raffigurante scene in un ambiente storico con donne vestite in abiti elaborati del XVIII secolo, alternati a figure di suore. Le immagini mostrano donne nobili con vestiti sontuosi, ornate di dettagli ricamati, mentre interagiscono tra di loro in saloni decorati e in un chiostro. Alcune immagini includono suore, sia in momenti di contemplazione che interagendo con le nobildonne. L'ambiente è un misto tra interno di conventi e giardini, caratterizzato da un'atmosfera di eleganza e austerità. L'alternanza di donne nobili e suore suggerisce il contrasto tra opulenza e vita religiosa


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