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La lettera del Diavolo e la Beata Corbèra

«Abitudini secolari esigevano che il giorno seguente all’arrivo la famiglia Salina andasse al Monastero di Santo Spirito a pregare sulla tomba della beata Corbèra, antenata del Principe, che aveva fondato il convento, lo aveva dotato, santamente vi era vissuta e santamente vi era morta» (1).


LICATA, 29 MAGGIO 1645


Il principe di Lampedusa Giulio Tomasi – antenato del famoso autore de Il Gattopardo, Giuseppe Tomasi di Lampedusa – e la moglie, Rosalia Traina, baronessa di Falconeri e Torretta, danno il benvenuto alla loro secondogenita Isabella. Cresciuta ed educata in un clima di forte religiosità e obbedienza (2), Isabella mostra sin da bambina – probabilmente per effetto degli indottrinamenti familiari – una certa inclinazione alla vita monacale.

Nel 1660, appena 15enne, prende i voti perpetui ed entra nel convento benedettino di Palma di Montechiaro (3), assumendo il nome di Maria Crocifissa della Concezione.


La vita claustrale di suor Maria Crocifissa è di completa dedizione alla preghiera, alla meditazione, alla penitenza e ai lavori più umili; una “vita santa” che le permette di vivere profonde esperienze mistiche e spirituali, come quella dell'apparizione della Madonna Addolorata del 1672 (4).


Di pochi anni dopo è, però, l'episodio che rende noto il nome della religiosa.


«È l'11 Agosto 1676. Le monache del convento di clausura di Palma di Montechiaro sono disposte nel coro della chiesa intente a recitare la Nona (5). Giunte quasi al termine, il suono cadenzato della preghiera viene squarciato da un grido soffocato che, echeggiando attraverso i corridoi, proviene dalla cella di Suor Maria Crocifissa della Concezione. Le consorelle, sopraggiunte da un improvviso tumulto, si precipitano fuori dal coro, mentre i loro passi rapidi e incerti rimbombano contro le fredde mura del convento. Entrando nella cella di suor Maria Crocifissa, trovano una scena capace di turbare anche l'anima più impenetrabile: la suora giace stremata, priva di sensi sul pavimento di pietra, con le mani, il viso e l'abito monacale macchiati di inchiostro nero come la pece. Accanto a lei, sparpagliati sul pavimento, dei pezzi di carta strappata, mentre tra le mani tiene ben stretta una lettera, scritta con caratteri strani e incomprensibili, quasi come se una mano estranea avesse preso possesso della sua penna. Le suore soccorrono Maria Crocifissa, riportandola lentamente alla coscienza, ma i suoi occhi mostrano un terrore che le parole umane non riescono ad esprimere. “Il demonio... Il demonio dentro di me”, balbetta con voce roca, mentre gli occhi spalancati fissano il vuoto, in cerca di quella presenza oscura che l'ha oppressa» (6).


LA LETTERA DEL DIAVOLO


Il documento ritrovato nella cella di suor Maria Crocifissa, ribattezzato la Lettera del diavolo (7), si presenta come un miscuglio incomprensibile di caratteri tratti dall'alfabeto greco, latino e simboli esoterici che, oltre a formare un testo indecifrabile, racchiudono un apparente messaggio di odio verso il Divino.


In assenza di una spiegazione plausibile da parte della religiosa, che sosterrà sempre esserle stata dettata dal demonio, il contenuto della lettera è rimasto per secoli un mistero affascinante e insoluto. Numerosi studiosi hanno, infatti, cercato nel corso del tempo di decifrarne il testo, parzialmente decodificato soltanto nel 2017, grazie al lavoro di un gruppo di scienziati del Ludum Science Center di Catania: utilizzando un apposito software di decriptazione, che combina alfabeti differenti, ha ottenuto una serie di parole unite tra loro senza un senso comune, e riferimenti a concetti religiosi e filosofici, espressi in modo confuso e contraddittorio.


Secondo alcuni studiosi la lettera dettata dal demonio alla religiosa nel momento in cui è intenta a scrivere al proprio confessore sarebbe, in realtà, un messaggio criptato tra i due, scritto attraverso l'uso di un linguaggio privato o un codice personale con il preciso scopo di non essere decodificato.


Tutti gli studi, tuttavia, sembrano convergere verso una direzione comune; quella, cioè, che vedrebbe nella missiva il riflesso del caos interiore dalla monaca, probabilmente provata dalla dura e restrittiva vita claustrale; una forma di tormento vissuto da una donna combattuta tra il desiderio di santità e le oscure forze che cercano di strapparla alla sua fede: non un messaggio del maligno, dunque, ma un grido di aiuto e di disagio di una anima in lotta con le proprie battaglie interiori.


Anche la figura del confessore mediatore tra gli esseri umani e il divino – sembrerebbe confermare tale tesi. Egli, infatti, si frappone al demonio, simbolicamente connesso all’istintività, al desiderio in tutte le sue forme passionali, al disordine e alla perversione.


Analizzando il documento in quest'ottica, la lettera appare come la rappresentazione fisica della sottile linea di demarcazione tra psicosi e misticismo spesso riscontrabile in contesti religiosi dove esperienze simili – che in altre circostanze potrebbero essere riconducibili a sintomi psicotici – vengono interpretate come segni di santità.


EPILOGO


L'episodio della lettera ha certamente contribuito a creare e ad alimentare numerose leggende attorno alla figura di suor Maria Crocifissa, che si spegne nel 1699, dopo anni di infermità e vessazioni, patite dalla religiosa a causa del maligno e delle sue tentazioni.

Acclamata come beata dal popolo, che le attribuisce la capacità di intercessione ai miracoli e il ruolo di guida spirituale, nel 1787 è stata nominata venerabile dalla Chiesa cattolica per il carattere eroico delle sue virtù. Il suo culto, tuttavia, rimane circoscritto e basato interamente sulla devozione popolare.


Isabella Tomasi, o Beata Corbèra, rimane nell'immaginario collettivo come una figura di grande interesse, celebrata ancora oggi sia per la sua profondità spirituale, sia per il mistero che circonda gli eventi della sua vita in convento.


Il collage di cinque fotografie presenta il dipinto di suor Maria Crocifissa in abito monacale nero, con al petto un disco raffigurante la Madonna con Bambino, mentre regge un crocifisso. Di fianco, in alto, la foto dell'esterno di un edificio barocco con una facciata imponente e scalinate, ovvero il monastero delle Benedettine del SS. Rosario a Palma di Montechiaro. In alto a destra, lo stemma della famiglia Tomasi con al centro il simbolico Gattopardo. In basso a sinistra, l'immagine della “Lettera del Diavolo” . Infine, in basso a destra, un dipinto che mostra suor Maria Crocifissa inginocchiata a terra, soccorsa da una suora, mentre di fianco, sulle scale, la figura del diavolo.

Se questa storia ha catturato la tua curiosità, unisciti a noi per la prossima passeggiata tematica dal titolo Prigioniere del Sacro, un viaggio alla scoperta di storie crudeli e affascinanti che svelano vita, segreti, estasi e tormenti delle monache di clausura.


 

(1) Il testo è tratto da Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa

(2) Don Giulio e Donna Rosalia, dopo aver generato 8 figli, decisero di far voto di castità e di dedicarsi a una vita ascetica

(3) Voluto dal padre Giulio e dallo zio Giuseppe Maria Tomasi, quest'ultimo proclamato santo nel 1986

(4) Questa le avrebbe detto "La tua croce sarà la perpetua clausura. Essa è già stabilita, resta il montarci pian piano sopra affinché tu possa essere crocifissa perfettamente"

(5) La Nona è una delle ore canoniche recitate alle 15:00 durante la giornata

(6) Testo a cura di Flavia Corso

(7) L'originale è custodito nel monastero del SS. Rosario a Palma di Montechiaro, mentre una copia è conservata nella cattedrale di Agrigento


  • L'articolo è a cura della redazione di TACUS Arte Integrazione Cultura. Le immagini inserite nel collage sono tratte dal web. La copertina del presente articolo è stata generata mediante un programma di AI.

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