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Giulia Tofana: l'arte dei veleni e la lotta contro i matrimoni infelici

Aggiornamento: 23 mag

«Era da poco passata l'ora del Vespro quando il medico giunse nella modesta casa di Giovannino lo stuccatore, ma senza fretta. Maddalena, la giovane moglie, lo accompagnò dinanzi al marito riverso sul letto, impegnato a contorcersi e lamentarsi per il dolore. All'arrivo del dottore la vecchia zia Nina, seduta in un cantuccio vicino al letto, esclamò: “Quando arrivanu li duttura la morti s'avvicina”. E dopo un celere segno della croce, alzando gli occhi al cielo, si alzò con non poca fatica per fare spazio. La comprensione di quegli spasmi risultava oscura e complessa, e nulla di ciò che si poteva osservare rimandava a una qualche forma di avvelenamento. Maddalena, come molte altre donne di basso ceto di quel tempo, viveva una vita caratterizzata da duro lavoro, limitazioni economiche e violenze. Tuttavia, riusciva a sopportare la sua difficile condizione grazie all'amore segreto che nutriva nei confronti di Gaspare, il giovane garzone del rione. Decisa a riprendere in mano le sorti del suo destino, qualche giorno prima si addentrò tra i vicoli del Papireto per far visita a Girolama». (1)


Girolama era sorella di latte di una certa Giulia Tofana – meretrice e fattucchiera, poverissima ma di fervido ingegno – l'unica, si diceva, in grado di offrire alle donne di Palermo un modo sicuro per affrancarsi da matrimoni infelici.

Sebbene analfabeta, Giulia vantava un'intelligenza sopraffina che, unita alla bellezza e a uno spirito volitivo e tenace, rappresentò la chiave per uscire da una condizione di estrema miseria in cui versava. Sfruttando la sua avvenenza, aveva iniziato a vendere il suo corpo a molti esponenti del clero; conobbe così un frate speziale che la introdusse alla pratica della sofisticazione delle erbe. Grazie alle conoscenze apprese dal religioso, iniziò a manipolare piante e sostanze velenose, che all'epoca venivano utilizzate come strumento risolutivo per questioni politiche, economiche o amorose.


Quale metodo migliore se non il veleno per mettere fine a una relazione non più soddisfacente? Se la richiesta era così alta, qualcuno si sarebbe pur dovuto adoperare. Così la scaltra e abilissima Giulia non si fece sfuggire l'occasione di farne un commercio mortale.


Dopo una serie di tentativi fu in grado di creare il veleno perfetto: incolore, insapore e inodore che, se somministrato gradualmente, avrebbe simulato nel malcapitato disturbi intestinali, fino a provocarne una morte apparentemente naturale. La mortifera pozione – la cosiddetta Acqua Tofana (2) – era una soluzione a base di arsenico e belladonna: un preparato altamente tossico, vera e propria panacea contro mariti, mogli e amanti scomodi o indesiderati, fatti fuori, un'ampolla dopo l'altra, senza destare sospetti.


In breve tempo l'Acqua Tofana – o Manna di San Nicola (3) – portò a Giulia lauti guadagni e una certa notorietà. Ma se da un lato l'aumento dei clienti le aveva permesso di abbandonare il malfamato quartiere del Papireto e di racimolare una discreta somma di denaro, dall'altro comportava rischi elevatissimi concretizzatisi quando un uomo, sopravvissuto a un tentativo di avvelenamento, decise di denunciarla, esponendola all'occhio del temibile tribunale dell'Inquisizione.


Decisa a lasciare Palermo per scampare alle accuse del Sant'Uffizio, insieme alla sorella di latte Girolama, fuggì alla volta di Roma. Giunta nell'Urbe romano condusse per i primi anni una vita modesta. Ma si sa, il lupo perde il pelo ma non il vizio! Come una vera e propria assistente sociale ante litteram, sensibile al grido di aiuto di una moltitudine di donne assoggettate al potere e al volere degli uomini, riaprendo lo scrigno del suo sapere riavviò il suo commercio di morte.


Avvicinata dalla contessa di Ceri, fermamente intenzionata a liberarsi del marito, Giulia vendette la sua ultima boccetta di Acqua Tofana. La contessa, contrariamente alle istruzioni ricevute, utilizzando l'intero contenuto della boccetta in un'unica soluzione, provocò la morte repentina del consorte, noto a tutti per la sua sana e robusta costituzione.

L'improvviso decesso accese i sospetti dei parenti del defunto che denunciarono il fatto alle autorità. Le indagini condussero tempestivamente a Giulia Tofana che, imprigionata e torturata, fu indotta a rivelare i suoi traffici, ammettendo di aver venduto – tra il 1633 e il 1651 – un tale quantitativo di veleno sufficiente ad uccidere oltre 600 persone. Rilasciata grazie probabilmente ai buoni uffici di un’amante, riuscì a far perdere le sue tracce, non prima di consegnare la sua arte nelle mani della figliastra Girolama Spana.


Il collage presenta quattro immagini in stile graphic novel. A sinistra, una donna in abiti del 1636 con un fazzoletto in testa, riempie una boccetta di veleno posizionato su un tavolo vicino a una finestra che si affaccia su un panorama urbano con cupole e torri. L'immagine in alto a destra, mostra una scena all'interno di una casa modesta, dove un uomo è disteso malato su un letto, una donna più giovane sta in piedi vicino e un'anziana è seduta accanto al letto. In basso a sinistra, una dama elegante in un lussuoso abito, osserva un flacone vicino a una finestra che si affaccia su Roma. In basso a destra, una piazza di Roma nel 1636, con edifici storici, una fontana centrale e persone vestite con abiti d'epoca impegnate in attività quotidiane.

Il nome di Giulia divenne talmente noto da ammantarsi di leggenda e rappresentare l'archetipo della maestra dei veleni a tutela delle donne. La fama le sopravvisse e l'Acqua Tofana continuò ad essere utilizzata anche dopo la sua morte, persino in celebri casi di avvelenamento come quello di Wolfgang Amadeus Mozart. Oltre mezzo secolo dopo i fatti romani, il nome di Giulia Tofana resta avvolto da un alone di mistero che ammanta la storia, dal fascino oscuro e controverso, di una vera protagonista della grande "stagione dei veleni".


Se ti abbiamo incuriosito, ti aspettiamo alla prossima passeggiata raccontata, dal titolo Belladonna: guaritrici, streghe e avvelenatrici, dove racconteremo storie di medichesse, guaritrici, streghe e avvelenatrici.


 

(1) Testo a cura di Flavia Corso

(2) Secondo alcune fonti, l'acqua tofanina fu un'invenzione della fattucchiera palermitana Thofania d'Adamo, giustiziata il 12 luglio 1633 per l'avvelenamento del marito.

(3) Giulia commercializzava il suo veleno utilizzando boccette con l'effige di San Nicola, da qui il nome di Manna di San Nicola.


  • L'articolo è a cura della redazione di TACUS Arte Integrazione Cultura. Le immagini inserite nel collage e la copertina del presente articolo sono state generata con un programma di AI.

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