Mariannina Coffa, la poetessa ribelle
- Tacus Associazione
- 28 set
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Nel cuore della Sicilia ottocentesca, tra fermenti risorgimentali e consuetudini sociali inflessibili, si staglia la figura di Mariannina Coffa (1841–1878). In mezzo a regine, sante, nobildonne, intellettuali e artiste, il profilo della poetessa di Noto, definita “Saffo siciliana” , brilla di una luce diversa, inquieta e fragile. Figlia del suo tempo e insieme in anticipo sulla sua epoca, Mariannina non fu solo “capinera ferita”, come la tradizione ottocentesca la volle ricordare, ma donna di carne e di spirito, combattuta tra il dovere imposto e il desiderio ardente. Visse la sua vita come un romanzo doloroso, in cui la ricerca di libertà si scontra con un destino segnato da convenzioni familiari, matrimoni imposti e repressione dei talenti femminili.
Nata in una famiglia borghese colta e influente, Mariannina mostra un precoce talento poetico: a soli quattordici anni pubblica le Poesie in differenti metri, seguite dai Nuovi canti nel 1859.
La sua formazione, affidata dapprima al collegio Peratoner di Siracusa e poi alla guida del canonico Corrado Sbano, è rigidamente improntata a un cattolicesimo purista che tenta di imbrigliarne l’immaginazione. Eppure, tra le righe dei testi scolastici proibiti, Mariannina scopre Byron e Shakespeare, accendendo un fuoco che non si spegnerà più.
Il confine poroso tra biografia e mito
Il destino della giovane poetessa prende forma nel 1859, quando s’innamora del maestro di musica Ascenso Mauceri. Un amore intenso, nato al pianoforte e subito osteggiato dalla famiglia, che la costringe a rinunciare al fidanzamento per sposare Giorgio Morana, facoltoso proprietario ragusano.
Da quel momento la sua vita si trasforma in prigionia: nella casa del suocero le è proibito scrivere, le lettere vengono controllate, la poesia è bollata come vizio pericoloso. Ma Mariannina resiste di nascosto, scrivendo di notte alla luce di una candela, trasformando la parola in unico spazio di libertà, mentre la sua voce diventa testimonianza di un’ingiustizia più ampia: quella di una società che, incapace di accettare una donna indipendente, riduce il talento in follia e la passione in colpa.
La pudica lirica
Se la poesia ufficiale della Coffa rimane imprigionata in patriottici schemi retorici tipici dell’epoca — si vedano le liriche A Giuseppe Garibaldi o In morte di Camillo Benso Conte di Cavour — la lirica Ad una amica che si apre con un accenno alle ore notturne — predilette per scrivere ad Ascenso le sue lettere — rivelano una voce sorprendentemente moderna.
| “È notte ed io nella diserta stanza
chiudo ai profani l’agonia del core”.
oppure
| "Piange soletto, e si consuma il core [...]
Le lacrime talor nascondo e affreno,
Ed è tomba il silenzio a’ miei martiri"
o ancora
| "Quand’io ripenso a la mia prima estate
Ridente ai sogni d’un perduto amor,
Piango soletta e all’aure innamorate
Affido nel silenzio il mio dolor".
Questi versi si dichiarano come pura confessione, sincera, struggente e ribelle; uno spiraglio sul suo mondo e sulla sua interiorità, consegnato al tempo come una testimonianza vivida della condizione femminile in Sicilia nell’Ottocento.

La geografia della sua vita
I nomi che si intrecciano al destino di Mariannina disegnano le tappe di una vicenda segnata da contrasti profondi: Corrado Sbano, il canonico severo che ne educò la mente e insieme ne incatenò la libertà; Ascenso Mauceri, l’amore ardente e impossibile, rimasto per sempre ferita e nostalgia; Mario Rapisardi, interlocutore intellettuale e complice ideale di battaglie poetiche; Giuseppe Migneco, il medico-filosofo che con le sue teorie magnetiche le offrì un orizzonte nuovo e un varco spirituale al di là della sofferenza.
Anche la geografia della sua vita sembra obbedire a questa dialettica dolorosa. Noto è la culla luminosa dell’infanzia e dei sogni, con le sue piazze di pietra chiara che custodiscono la promessa di un destino diverso. Ragusa, al contrario, diventa prigione domestica e teatro di silenzi soffocanti, dove ogni gesto di libertà è un reato da estirpare. Tra queste due polarità si colloca Catania, terra di passaggio e di speranza, città di medici visionari e di dottrine nuove, dove Mariannina — nel 1875 — trova il coraggio di compiere l’atto inaudito: abbandonare la casa del marito, sfidando le convenzioni e firmando, con quel gesto, la sua condanna sociale. Un esilio interiore che la rese fragile e, allo stesso tempo, straordinariamente grande.
Una voce che continua a parlare
Mariannina Coffa muore a Noto il 6 gennaio 1878, a soli trentasei anni, consumata dalla malattia e dall’abbandono. La famiglia non volle neppure sostenerne le cure né il funerale: fu la città a farsene carico, tributandole un lutto pubblico.
Se oggi non è più possibile separare del tutto la verità storica dalla leggenda che l’ha avvolta, ciò che resta è il valore simbolico della sua parabola. Mariannina Coffa diventa metafora di una Sicilia segnata da contrasti: da un lato il rigore delle convenzioni, dall’altro la forza ribelle della parola poetica.
Crediti
Testo: TACUS Arte Integrazione Cultura - Associazione di promozione sociale
Immagini: elaborate con intelligenza artificiale OpenAI
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