La materia della memoria: le Catacombe dei Cappuccini e il corpo di Rosalia Lombardo
- Tacus Associazione
- 7 nov
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Nel cuore di Palermo, sotto il convento dei Cappuccini, si estende un labirinto di gallerie che custodisce una delle più vaste collezioni di corpi mummificati al mondo. In quelle nicchie bianche, dove le ombre sembrano respirare, riposano migliaia di defunti: frati, nobili, borghesi, bambini.
I corpi, rivestiti con i loro abiti d’epoca, si ergono o giacciono in atteggiamenti che ricordano l’immobilità delle vecchie fotografie in bianco e nero, ma qui la fissità diviene materia viva, resa eterna dal tempo e dalla pietà. Mentre alcuni indossano vesti logore o semplici sacchi, imbottiti di paglia per restituire forma alle membra svuotate, altri presentano il capo reclinato che sembra cristallizzare un urlo muto, come un residuo di vitalità congelato nell’istante della dissoluzione.
In questo scenario sospeso tra devozione e terrore, fra arte e scienza, si staglia la figura di Rosalia Lombardo (1918–1920), la cosiddetta Bella addormentata. Morta a soli due anni per broncopolmonite, Rosalia fu imbalsamata con una tecnica talmente efficace da conservare per oltre un secolo un aspetto di serena vitalità: la pelle appare ancora morbida e distesa, le guance tondeggianti, i capelli biondi raccolti in un fiocco giallo.
Dalla decomposizione alla forma
L’ordine dei Cappuccini, a partire dal XVII secolo, sviluppò in Sicilia e nel Meridione d’Italia una forma di mummificazione “naturale” che divenne, di fatto, un marchio identitario. Il processo prevedeva un primo trattamento nei colatoi (putridarium): ambienti sigillati dove i corpi venivano lasciati a “scolare” per otto mesi o un anno, seduti o distesi su giacigli di pietra, mentre i doccioni in terracotta convogliavano in basso i liquidi cadaverici. Terminata la decomposizione umida, i resti venivano lavati con aceto, essiccati in ambienti ventilati e poi riempiti con paglia o stoppa per restituire loro un aspetto umano.
Questo rito materiale aveva anche una dimensione spirituale: il corpo, depurato della corruzione, tornava simbolicamente puro, pronto per una seconda sepoltura e la venerazione dei vivi.
Tale concezione si inserisce nella più ampia tradizione mediterranea della “doppia sepoltura”, praticata in diverse regioni del Sud Italia, in particolare a Napoli e in Campania.
In essa, la morte non coincideva con la sepoltura, ma con il completamento del processo di disfacimento: il passaggio definitivo dal mondo dei vivi a quello dei morti, sancito da un secondo rito funebre. Nei conventi cappuccini, il colatoio svolgeva esattamente questa funzione liminale: purificare, separare, rendere accettabile e duraturo il corpo.
La scienza della permanenza: Alfredo Salafia e la “bella addormentata”
L’eccezionale stato di conservazione di Rosalia Lombardo è tradizionalmente attribuito all’imbalsamatore palermitano Alfredo Salafia (1869–1933), che alla fine dell’Ottocento mise a punto una tecnica innovativa di conservazione dei tessuti mediante iniezione arteriosa di una miscela segreta. Il “mistero” della formula è stato sciolto solo nel 2009, quando il paleopatologo Dario Piombino-Mascali, dopo una lunga ricerca d’archivio, ha ritrovato un manoscritto autografo di Salafia in cui la procedura è descritta con precisione.
La “formula Salafia” prevedeva formalina (antisettico e fissativo), glicerina (idratante), sali di zinco (indurenti e stabilizzanti), alcol e acido salicilico (antifungini), con l’aggiunta di paraffina disciolta in etere per mantenere l’aspetto vitale del volto. Il tutto veniva somministrato con un’unica iniezione intravascolare, che garantiva un equilibrio tra disidratazione e conservazione dei tessuti.
La formula spiega in modo coerente le condizioni di Rosalia: pelle integra, colorito naturale, struttura organica pressoché intatta. Le indagini tomografiche (MDCT) pubblicate su Annals of Anatomy nel 2013 hanno infatti confermato la straordinaria conservazione non solo esterna, ma anche interna, con cervello, fegato e polmoni ancora riconoscibili. Tuttavia, poiché non sono state condotte analisi chimiche dirette, il collegamento tra il corpo di Rosalia e la formula di Salafia, pur altamente probabile, resta una deduzione basata su documenti e riscontri indiretti.
Musealizzazione e responsabilità etica
Oggi Rosalia riposa in una teca ermetica a gas inerte, progettata per stabilizzare temperatura e umidità, riducendo al minimo il rischio di degradazione biologica. Questo intervento, sviluppato in collaborazione con enti di ricerca e restauratori, testimonia un passaggio cruciale: dalle catacombe come luogo di pietà e ammonimento alla musealizzazione della morte come pratica di tutela e conoscenza.
Tale passaggio impone nuove responsabilità etiche. Rosalia non è più solo oggetto di curiosità o devozione, ma bene culturale sensibile, un confine tra memoria e materia, mentre la teca, con la sua trasparenza protettiva, funge da mediazione tra il rispetto dovuto al corpo e l’interesse storico-scientifico che esso suscita.
Antropologia dello sguardo e presenza simbolica
Il fascino che Rosalia esercita sul pubblico contemporaneo nasce dall’ambiguità percettiva della sua immagine. Il corpo sembra vivo: le palpebre, per un gioco di luce, paiono aprirsi e chiudersi; il viso conserva la dolcezza di un sonno infantile. L’esperienza visiva di chi la osserva è profondamente liminale — fra vita e morte, realtà e illusione — e riattiva antiche grammatiche dello sguardo cattolico, in cui il corpo incorrotto diventa segno di grazia e di mistero.
La mummia di Rosalia, dunque, non è soltanto un fenomeno biologico o chimico, ma una costruzione culturale complessa: un simbolo della tensione umana verso la sospensione del tempo, della speranza di sottrarre alla morte ciò che le è più caro — l’innocenza, la bellezza, l’infanzia.
Memoria incarnata
Le Catacombe dei Cappuccini, con oltre 1.000 corpi custoditi, costituiscono un archivio di memoria collettiva che racconta la storia sociale e spirituale di Palermo. In questo contesto, Rosalia Lombardo rappresenta la sintesi estrema di una lunga tradizione: la convergenza tra tecnica, fede e antropologia della morte.
Il suo corpo, reso icona universale, unisce la perizia di un artigiano-scienziato — Alfredo Salafia — alla visione di un mondo che cercava nella permanenza del corpo una risposta alla dissoluzione della vita. Oggi, la sua immagine, sospesa tra devozione e ricerca, continua a interrogarci: non solo su come si possa vincere la corruzione della carne, ma su cosa significhi, per gli esseri umani, ricordare attraverso la materia.
Fonti
Sito web: catacombepalermo.it
Dario Piombino-Mascali, Le catacombe dei Cappuccini: guida storico-scientifica, 2018.
Ivan Cenzi, La veglia eterna. Catacombe dei Cappuccini di Palermo, 2014.
Dario Piombino-Mascali, Il maestro del sonno eterno, 2009.


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