L’erba di San Giovanni: l'iperico e la botanica del sacro
- Tacus Associazione
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Piante che raccontano il tempo
Esistono piante che, pur crescendo spontaneamente con umiltà lungo i margini e le crepe dell’asfalto urbano, portano con sé una narrazione millenaria, in cui la scienza delle erbe si intreccia al simbolismo arcaico e all’antica ricerca di salvezza e rigenerazione.
In quel breve interludio in cui il sole tocca il suo apice e la notte si ritira – tra il 21 e il 24 giugno – l’iperico fiorisce là dove si colloca il solstizio d’estate.
La fioritura sacra del solstizio
Come ben sapevano i popoli antichi, questa creatura vegetale fiorisce come a voler segnalare un appuntamento sacro che apre le porte di un altrove simbolico. In quei giorni di confine – in cui il velo tra i mondi visibile e invisibile si assottiglia e il cielo si china sulla terra – si credeva che la natura si rendesse più permeabile al magico, tanto da poterne trarre, attraverso riti di fuoco e acqua, guarigioni, presagi e visioni. In tale tempo di liminalità, di celebrazione del passaggio dalla primavera all’estate, si riconosceva un’occasione irripetibile per raccogliere le erbe sacre, tra cui l’iperico occupava un posto privilegiato.
Una pianta tra il cielo e la carne
Il nome latino dell’iperico – Hypericum perforatum – suggerisce già, nel suo suono, un’immagine. Hyper-eikon, “oltre l’immagine”, evoca un’essenza che valica le apparenze, attraversando il visibile per giungere al senso nascosto. Perforatum, dal canto suo, fa riferimento alle foglie traforate da minuscole vescicole translucide, visibili in controluce: ghiandole oleifere che somigliano a finestrelle solari, mille occhi di luce disseminati nella materia vegetale.
Medicina sacra e protezione
Impiegato sin dall’antichità greco-romana come pianta apotropaica, l’iperico veniva bruciato durante i riti di protezione, nei falò solstiziali e per purificare gli ambienti, posto sotto il cuscino per scacciare gli incubi, appeso alle porte per tenere lontani il malocchio e gli spiriti maligni. Citato da Dioscoride nel suo De Materia Medica e lodato da Galeno per le virtù cicatrizzanti, era utilizzato per sanare piaghe fisiche e scottature. Ma fu nel Medioevo – quando la medicina si fece teologia e il male divenne spirito – che l’iperico assunse il ruolo di “erba della luce contro le tenebre”, evocando la capacità di superare le immagini oscure, i demoni interiori, le ossessioni. Soprannominato scacciadiavoli, veniva impiegato sotto forma di infuso per combattere malinconie, melanconia e possessioni invisibili.
L’archetipo solare e la figura del Battista
Noto ai più come erba di San Giovanni – herba sancti Johannis, la chiamavano i monaci medievali – il simbolismo dell’iperico è frutto di una lunga sovrapposizione di credenze arcaiche, rituali magici e tradizioni cristiane. Esso incarna l’allusione simbolica a Giovanni Battista – profeta, battezzatore, purificatore e anticipatore del Messia – che, ereditando e assorbendo l’antico archetipo solare, venne assimilato al simbolismo del solstizio: egli è colui che “decresce” per lasciare spazio al Cristo, così come la luce solare inizia il suo lento declino dopo il 24 giugno.
L’iperico, che fiorisce proprio in questo periodo, fu dunque associato alla festa del santo, non solo per ragioni calendariali, ma soprattutto per le sue qualità curative e protettive. I suoi fiori giallo oro, evocativi del sole, lo resero simbolo di luce trionfante e di forza interiore capace di scacciare le tenebre. Il suo “sangue rosso” invece – l’olio che ne fuoriesce schiacciando i petali – venne interpretato come “sangue di San Giovanni”, collegato al martirio. Secondo la leggenda, infatti, la pianta sarebbe nata proprio dal suo sangue versato, fondando così una narrazione agiografica che ne giustifica le virtù spirituali.

Dalla notte pagana al rito cristiano
Nel passaggio dal paganesimo al cristianesimo, molte piante considerate sacre, magiche o medicinali vennero reinterpretate in chiave cristiana, ma l’antica convinzione che le erbe raccolte durante la notte di San Giovanni fossero dotate di virtù straordinarie sopravvisse nella pratica popolare in tutta Europa.
Si mantenne così viva la tradizione di accendere falò nei campi, di raccogliere erbe sotto l’influsso del crepuscolo e di preparare l’“acqua miracolosa”: tutti riti propiziatori destinati a invocare protezione, abbondanza e connessione con il mondo invisibile.
L’acqua di San Giovanni: tra magia e memoria
Nel simbolismo arcaico, l’acqua è fonte di purificazione, rinascita e trasmissione del sacro. È per questo che, nella notte tra il 23 e il 24 giugno – in molti borghi italiani – si compie ancora l’antico rituale della preparazione dell’acqua di San Giovanni.
Dopo aver raccolto erbe e fiori al tramonto, li si pone in una bacinella d’acqua esposta alla rugiada e alla benedizione delle stelle. All’alba, prima che il sole si levi, ci si lava il volto con quell’acqua silenziosa, compiendo un gesto che è al tempo stesso apotropaico, propiziatorio e iniziatico. Un gesto semplice – lavarsi il volto prima che il giorno nasca – che rinnova una memoria che resiste: la memoria del sole, che rinasce nella carne, nella pelle e nella fede che anche l’erba può salvare.
Ogni pianta scelta risponde a una logica simbolica: l’iperico, detto cacciadiavoli, tinge di rosso se strofinato, come sangue sacro; l’artemisia – “madre di tutte le erbe” – evoca Artemide e protegge i passaggi femminili; la lavanda, con il suo profumo di purezza, allontana il male e chiama la serenità; la ruta trasforma l’energia; il rosmarino custodisce la memoria; la verbena protegge dagli influssi negativi; il basilico stimola l’amore e la prosperità.
Una soglia tra i mondi
Il folklore europeo è costellato di riti legati all’iperico. In Bretagna si appende alle finestre per allontanare le streghe; in Germania, dove è chiamato Johanniskraut, si mette nei cuscini contro gli incubi; nel Meridione d’Italia si intrecciano corone d’iperico da far galleggiare sull’acqua per interrogare il destino amoroso. In Sicilia, ancora oggi, si prepara l’acqua di San Giovanni e si bruciano mazzetti d’iperico – legati con sette nodi – in un rito di fumigazione che profuma di pharmakéia antica, dove ogni odore è preghiera invisibile e ogni gesto una forma di memoria di protezione.
L’erba che raccoglie il sole
Raccontare la storia delle erbe di San Giovanni significa entrare in un cosmo culturale dove la natura parla, dove ogni pianta è un simbolo e ogni rito una lingua dimenticata.
Perché, se una nonna ancora oggi lascia seccare un fiore d’iperico vicino a una Madonnina, sotto una bottiglia di vetro verde, non sta semplicemente conservando un’usanza: sta raccogliendo il sole, trasformandolo in memoria e, forse, in un silenzioso atto di fede nella luce, nella rinascita, nella speranza e nella bellezza sottile delle cose invisibili.
L'articolo è a cura della redazione di TACUS Arte Integrazione Cultura.
Crediti immagini del collage: chadsmith110 di Getty Images; Unknown di Cleveland Museum of Art CC0 Images; Eskemar di Getty Images Pro.
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