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Viaggio alla scoperta della Santuzza

  • Immagine del redattore: Tacus Associazione
    Tacus Associazione
  • 10 lug
  • Tempo di lettura: 4 min

Santa Rosalia: la Santuzza tra storia, miracolo e identità

Chiunque abbia vissuto Palermo, anche solo per un giorno, l’ha incontrata. Magari con la coda dell’occhio, dentro una cappella o un’edicola votiva, sulla cima del Monte Pellegrino o tra le luci barocche di luglio.

Santa Rosalia — per i palermitani semplicemente a’ Santuzza — non è soltanto una santa: è un simbolo vivente, un riflesso dell’anima cittadina, una presenza che attraversa i secoli intrecciando storia, fede, leggenda e bisogno umano di salvezza.


Tra agiografia e leggenda

Secondo la tradizione agiografica — legata presumibilmente a una discussa iscrizione rinvenuta nel 1624 in una grotta, in cui lei stessa si definisce «figlia di Sinibaldi, signore della Quisquina e delle Rose»Rosalia de’ Sinibaldi nacque intorno al 1130, nel cuore della Palermo normanna, figlia di un’illustre famiglia al servizio di Ruggero II. Ma la corte non seppe trattenerla: giovane, bella, promessa al nobile Baldovino e forse ancella di Margherita, moglie di re Guglielmo il Malo, Rosalia scelse la via del silenzio e della preghiera, ritirandosi sul Monte Pellegrino per farsi sposa di Cristo. Lì visse da eremita, creatura selvatica e contemplativa, immersa nel vento e nelle pietre, in un intimo dialogo con Dio.


La documentazione storica, tuttavia, è esigua, e, come spesso accade, là dove le fonti tacciono, la fantasia popolare intreccia i suoi racconti. Così, nei secoli, la figura di Rosalia si è trasfigurata in leggenda: eroina della rinuncia, icona di una purezza incorruttibile, simbolo luminoso di fede e solitudine scelta.


La peste, il sogno e le ossa

Le cronache narrano che nel 1624 Palermo, prostrata dalla peste, giaceva in un abisso di dolore e morte. Il morbo si era diffuso rapidamente dopo lo sbarco di una nave mercantile proveniente da Tunisi, portando la città allo stremo. In quei giorni di angoscia, la figura di Rosalia si manifestò in sogno a due persone: al cacciatore Vincenzo Bonelli indicò la grotta sul Monte Pellegrino dove giacevano le sue reliquie, mentre a Girolama La Gattuta promise la guarigione, a patto che si recasse in pellegrinaggio al monte. Giunta alla grotta, la donna vide la santa che le mostrava il luogo in cui riposavano le sue ossa.


Quando le ossa furono ritrovate, vennero portate in solenne processione tra le strade della città e — secondo la leggenda — la peste cessò miracolosamente. Nel 1630, in segno di gratitudine e devozione, Rosalia fu proclamata patrona di Palermo, sostituendo le quattro sante protettrici che fino ad allora avevano vegliato sulla città.


L’acchianata e la devozione silenziosa

Ogni anno, il 3 settembre, vigilia del dies natalis — il giorno in cui Rosalia «nacque al cielo» — Palermo rievoca il pellegrinaggio che secoli addietro compì Girolama. Il Monte Pellegrino si anima di un fiume silenzioso di fedeli: corpi e anime che, avvolti dalla luce tremula delle candele, tra preghiere bisbigliate e lacrime discrete, risalgono a piedi la Scala Vecchia, in un’ascesa di devozione e memoria.


La cosiddetta acchianata si trasforma così in un gesto di penitenza e gratitudine, che conduce i numerosi fedeli fino alla grotta dell'eremita silenziosa, della santa che non giudica, patrona delle madri, dei malati, dei carcerati, degli invisibili. Lì la devozione prende forma concreta: c’è chi versa lacrime, chi ringrazia e chi invoca una grazia, mentre sulle pareti umide si affollano biglietti scritti a mano, ciocche di capelli, fotografie, pupazzi ed ex voto d’argento, tutti intrisi di dolore e di speranza.


Collage dedicato a Santa Rosalia: ritratti pittorici della santa tra gigli e corone di fiori, la statua dorata sul carro trionfale durante il Festino di Palermo, la folla in processione notturna per le strade barocche della città, fuochi d’artificio che illuminano il mare e vedute panoramiche della città con Monte Pellegrino sullo sfondo

Il Festino, tra sacro e profano

Ben altra atmosfera invece si respira il 14 e 15 luglio, quando esplode il Festino: una delle feste popolari più imponenti d’Europa, rito collettivo e spettacolo identitario. Il carro trionfale attraversa il Cassaro tra luci, danze, applausi, mentre la città acclama la sua regina.


Ma Palermo, si sa, non celebra mai a stomaco vuoto. Il Festino è anche festa dei sensi che impone di mangiare — anche solo per una volta all'anno — babbaluci, polpo bollito, sfincione, calia e semenza, pollanche e muluni ghiacciatu. E come accade solo nelle tradizioni più vive, è la festa dove il sacro si fa convivio, la religione si mescola al profano e la fede popolare si raffredda con birre atturrunate.


La serata culmina al Foro Italico, dove il carro — macchina scenica che ogni anno cambia forma, ma mai significato — attende i fuochi d’artificio che illuminano il mare. Terminata l'esaltazione profana, il giorno seguente si lascia spazio per la processione religiosa dell’urna d’argento — che custodisce le reliquie della Santuzza — tra petali, canti e preghiere.


Una santa, due volti: Palermo che resiste

Rosalia è eremita e regina, specchio e cuore di Palermo, presenza discreta e insieme trionfale, custode di una memoria che unisce contrasti e li trasforma in identità. E così, ogni anno, tra le lacrime della grotta e le luci del Festino, tra silenzio assorto e clamore festoso, la città ritrova la sua anima, fatta di contraddizioni e di fede, di fragilità e di orgoglio. E in quella devozione, antica e sempre nuova, Palermo continua a riconoscersi, a raccontarsi, a resistere.


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