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Palermo, città di tutti

  • Immagine del redattore: Tacus Associazione
    Tacus Associazione
  • 21 mag 2023
  • Tempo di lettura: 3 min

Un mosaico di memorie e culture

C’è una Palermo che non è scritta soltanto nelle pietre delle sue cattedrali né nel blu cangiante del suo mare. È la città delle memorie intrecciate, dei popoli che l’hanno abitata, amata, trasfigurata; è la città di una melodia antica, che canta l’accoglienza, i conflitti e la convivenza: una melodia che, in fondo, è l’anima stessa di Palermo, la sua verità più intima.


Le radici segrete: la giudecca e la diaspora

Prima ancora che le vele arabe solcassero il Mediterraneo, prima ancora che il vento normanno spirasse dal Nord, gli ebrei erano già qui. La loro presenza a Palermo è attestata da Giuseppe Flavio nel Bellum Iudaicum e da fonti tardo-romane, fin dal I secolo dell’era comune. Popolo di mercanti e di medici, di artigiani sapienti, di prestatori e traduttori, seppero custodire la propria identità pur intrecciandola con quella della città. La loro dimora era la giudecca, quartiere che si estendeva tra l’attuale via Calderai e piazza della Vittoria, con sinagoghe, botteghe, forni e scuole.


Lì pulsava una vita densa di studio, di lavoro, di riti, che proseguì sotto i Bizantini, gli Arabi e poi i Normanni — finché l’editto di Granada del 1492, emanato dai re cattolici, non li costrinse all’esilio. Lasciarono dietro di sé un ricamo di tracce: nomi di strade, segni lapidei, racconti popolari e memorie silenziose che ancora oggi respirano nei vicoli.


Ebrei, arabi, normanni: tre corde della stessa cetra che vibra ancora al cuore di Palermo.


La città giardino: il sogno arabo

Nell’831, gli Arabi fecero di Palermo la loro capitale, la splendida al-Madīnah al-Mu‘askar — la città accampamento — che divenne ben presto un fiore di pietra: città di giardini, acque e profumi. Per oltre due secoli Balarm fu uno dei centri culturali più raffinati del Mediterraneo.

I cronisti della Bayān al-Mughrib ne lodano la ricchezza, la poesia, la sapienza dei suoi dotti.

I qanāt scavati sotto la città resero fertile la terra, mentre agrumi, gelsomini e zucchero mutavano il paesaggio e la cucina. Nei toponimi — Kalsa, Misilmeri, Caltanissetta — sopravvive l’eco della lingua araba. Nelle nostre tavole — la cassata, la frutta martorana, il couscous — si riconosce la loro arte di trasformare il cibo in rituale. E persino la luce dorata che accarezza le cupole sembra ancora riverberare la poesia di quei secoli.


L’oro e la pietra: la sintesi normanna

Nel 1072 giunsero i Normanni, uomini del Nord che seppero essere conquistatori ma non distruttori. La loro grandezza fu quella di custodire e armonizzare quanto avevano trovato: la sapienza araba, la maestria bizantina, la cultura latina. Così nacque lo stile arabo-normanno, una delle “più alte sintesi artistico culturale della storia mediterranea”. La Cappella Palatina, la Martorana, la Zisa, Monreale: mosaici bizantini, calligrafie arabe e architetture latine convivono in una mirabile, fragile armonia. Un patrimonio oggi tutelato dall’UNESCO, simbolo dell’incontro fecondo fra mondi diversi.


Palermo, città di approdi

Palermo, da sempre porto e soglia, è il frutto di una pluralità di voci. Nessuno l’ha mai posseduta davvero, eppure ciascuno l’ha resa più grande, più complessa, più bella.

Un tempo erano ebrei in fuga dai pogrom, arabi in cerca di conquiste, normanni discesi dal Nord; oggi sono uomini e donne dall’Africa, dal Medio Oriente, dall’Asia, che attraversano il Mediterraneo per inseguire un futuro migliore. I loro volti animano la Stazione Centrale, Ballarò, la Kalsa, la Vucciria, e portano storie che parlano di dolore, ma anche di speranza.


In questa lunga storia di migrazioni, Palermo non è mai stata soltanto spettatrice: è sempre stata protagonista, custode di un mosaico che splende quando ogni tessera trova il suo posto. Per questo è stata più volte celebrata come simbolo europeo di accoglienza, laboratorio di convivenza, faro per chi approda dopo la tempesta. Perché, in fondo, qui, l’idea che la città sia di chi la abita — e non solo di chi ci è nato — non è un principio astratto.


I nuovi cittadini: l’oggi di Palermo

Oggi, nel cuore dei suoi quartieri popolari, Palermo continua a scrivere la sua storia interculturale accanto ai nuovi migranti. Bambini senegalesi giocano a pallone nei vicoli, donne bengalesi cucinano dolci speziati dietro le persiane, giovani tunisini vendono frutta e datteri nei mercati, mediatori culturali parlano italiano tradendo l’accento africano. La città respira insieme a loro, imparando ogni giorno una parola nuova, un gesto diverso, una ricetta inattesa. Non sempre è facile: discriminazioni, marginalità, tensioni sociali non mancano. Eppure, come nei secoli passati, il tessuto urbano si ritesse, includendo ciò che all’inizio sembrava estraneo.


Così, oggi come nell’831 o nel 1072, Palermo resta ciò che è sempre stata: una città che non appartiene a nessuno e appartiene a tutti. Un mosaico vivo, in cui ogni frammento — antico o recente — contribuisce a farla splendere.

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