Ammàtula: genealogia di un avverbio siciliano
- Tacus Associazione
- 5 giu 2024
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Nel lessico siciliano, la locuzione a màtula — più spesso resa nell’uso comune ammàtula — designa un’azione condotta invano, senza scopo né risultato, con un significato che si colloca a metà tra la constatazione della vanità e la sottile derisione. Si tratta di un termine che, come accade spesso nel patrimonio linguistico isolano, riflette una stratificazione di esperienze storiche, un sincretismo di idiomi e una sapiente ironia popolare che ne fa un piccolo monumento lessicale.
Etimologia: un crocevia mediterraneo
Le ipotesi sull’origine del termine si collocano in un ambito etimologico quanto mai fecondo, che ben riflette il carattere composito della lingua siciliana, formatasi nel corso dei secoli attraverso il sedimentarsi di influssi latini, greci, arabi e catalano-iberici.
Un primo filone di studi propone una derivazione dal latino matùla, termine che designava il "vaso da notte" e che, in Plauto (Pers. 4.3.64), assume anche il significato traslato di “uomo da nulla” (cfr. longu a matula, spillungone inutile). In alternativa, si fa riferimento al latino volgare mentula, indicante "l’organo genitale maschile", impiegato già nell’antichità in espressioni dal tono esplicitamente volgare per alludere a un agire “a caso”, “alla rinfusa”, “alla minchia”, per riprendere una più diretta e colorita corrispondenza. Secondo tale lettura, a màtula rappresenterebbe dunque la forma sicilianizzata di una locuzione latina popolare e cruda, coerente con la propensione dell’isola a conservare, vernacolarizzandole, espressioni di matrice plebea.
Un’ipotesi più elegante, ma altrettanto plausibile, fa risalire la locuzione al greco bizantino matēn (μάτην), avverbio attestato in testi tardo-antichi e medievali con il significato di “inutilmente, senza scopo”. La Sicilia bizantina, in cui perdurò a lungo un vivace bilinguismo tra latino e greco fino alla conquista araba, avrebbe potuto conservare tale forma, trasponendola nella sintassi e nella semantica isolana.
Non manca, inoltre, chi suggerisce un’origine araba, da bāṭil (باطل), termine che nel lessico coranico e giuridico indica ciò che è “nullo, vano, senza fondamento”. La parola, attraverso la lunga dominazione islamica e l’ibridazione linguistica verificatasi nei secoli IX–XI, potrebbe essere penetrata stabilmente nel parlato quotidiano, come attestano numerosi altri lemmi siciliani di chiara matrice semitica.
Infine, non si può escludere che l’espressione siciliana sia stata rafforzata, per via indiretta, dall’influsso catalano (debades), occitano (en de bados), spagnolo (en balde), tutte espressioni riconducibili al significato di “invano”, nonché dallo spagnolo bacín, ossia “pitale”, che per estensione viene talora usato per designare anche un “uomo sciocco”.
Tali corrispondenze, veicolate nel bacino linguistico mediterraneo attraverso le dominazioni aragonese e spagnola, potrebbero aver contribuito a stratificare il campo semantico della locuzione, arricchendone ulteriormente il ventaglio di significati e collegandola non solo all’idea di inutilità dell’agire, ma anche a una più sottile connotazione antropologica: quella di una vacuità ontologica, di un’inconsistenza umana, letta e giudicata attraverso lo sguardo ironico, disincantato e saggiamente corrosivo della cultura popolare siciliana.
La matula: oggetto materiale e simbolo culturale
L’interessante coincidenza fra la locuzione a màtula e il termine matula, indicante il recipiente di vetro utilizzato dai medici medievali per l’esame delle urine (uroscopia), ha contribuito ad arricchire di ulteriori suggestioni l’immaginario popolare. Questo strumento, iconograficamente legato alla figura del medico-filosofo che, scrutando i liquidi corporei alla luce, pretendeva di diagnosticare ogni male, divenne simbolo stesso della presunzione medica e, implicitamente, dell’inutilità di tante cure empiriche e superstiziose.
La letteratura iconografica medievale, da Bartolomeo Anglico a testi della Scuola Salernitana, mostra spesso il physicus con in mano una matula, emblema di una sapienza che si voleva certa ma che, agli occhi del popolo, spesso falliva. È lecito ipotizzare che questa dissacrazione popolare abbia favorito la saldatura semantica fra il contenitore medico e l’idea dell’“operare invano”, veicolando ironicamente il senso di un atto tanto solenne quanto inefficace.
Un riflesso linguistico e antropologico della cultura siciliana
La locuzione a màtula è un prezioso esempio di come un singolo termine possa condensare in sé secoli di storia linguistica, confluenze culturali e giudizi antropologici. Esso ci parla della vanità dell’agire umano, della diffidenza verso le false certezze scientifiche e, soprattutto, dell’inimitabile ironia con cui il popolo siciliano interpreta il mondo.
Lungi dall’essere una parola “inutile”, ammàtula resta dunque una delle più eloquenti espressioni della memoria collettiva isolana, capace di trasformare l’esperienza del fallimento in un motteggio che è insieme critica sociale, saggezza e poesia.

L'articolo è a cura della redazione di TACUS Arte Integrazione Cultura.
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